Raccontare la rabbia dei maschi contro le donne
Per aiutare i ragazzi a viverla, senza colpevolizzarli e senza confonderla con la misoginia
“Dovete capire l’uomo che uccide”
Qualche giorno fa mi ha scritto un’insegnante delle superiori, per condividere il suo sconcerto davanti al tema di un alunno. Un ragazzo di prima liceo, posato, tranquillo, educato, che in un italiano perfetto illustrava tutti i motivi per cui dovremmo capire gli uomini che uccidono le donne da cui sono stati lasciati. La rabbia che provano, la delusione, il senso di abbandono, l’ingiustizia di quel che hanno subito…
Quelle righe sono un pugno in faccia, ma sono anche una mano tesa, un invito al confronto. C’è dentro tutto il bisogno di essere ascoltati, di non essere colpevolizzati. Non importa se si tratta di una provocazione, se quelle righe sono sincere oppure no. Cambia poco. Secondo me assomigliano comunque a una richiesta di aiuto.
“Smettetela di trattarci da mostri”
Ed è una richiesta che si fa sempre più frequente nei maschi adolescenti, che proprio negli anni in cui devono costruirsi un’identità, si trovano alle prese con le colpe degli uomini che li hanno preceduti. E con un discorso femminista che stenta ancora a includerli senza colpevolizzarli. Non stupisce quindi che trovino molto più rassicuranti e incoraggianti i messaggi proposti dalla mascolinità tossica, che circolano indisturbati (e spesso dissimulati e spacciati per umorismo) sui loro social.
Per questo trovo che quel tema sia rincuorante, quasi una buona notizia. È una mano alzata, una sorta di “Ehi, siamo qui, potete per favore accorgervi di noi? Potete guardarci in faccia, per quello che siamo?”
Vivere la rabbia
Ho promesso a quell’insegnante che avrei pensato a qualche esercizio di scrittura che potesse usare in classe, per affrontare l’argomento. Raccontare le emozioni, infatti, può essere utile anche in questo contesto. Tendiamo troppo spesso a criminalizzare la rabbia, a confonderla con le sue conseguenze, con i gesti a cui conduce. La rabbia in sé però è un’emozione che deve essere vissuta, come le altre, che non possiamo ignorare, nascondere, cercare di cancellare. Dobbiamo imparare a vivere la rabbia, senza negarla, ma al tempo stesso senza lasciare che detti le nostre azioni. E raccontarla può aiutarci a farlo.
Se dobbiamo raccontare l’accesso d’ira di un personaggio, per esempio, avremo bisogno di sapere quali sono i cambiamenti fisiologici che la accompagnano, per poterla descrivere in modo credibile. Che cosa ci succede quando siamo in preda alla rabbia? Qualcuno stringerà i pugni, qualcuno i denti, qualcuno sentirà un nodo allo stomaco… Scriviamolo su un foglio, allora. Proprio come se dovessimo usarlo per scrivere una scena del nostro romanzo. Se vogliamo proporre l’esercizio in classe, possiamo cominciare chiedendo ai ragazzi e alle ragazze di immaginare una scena in cui il protagonista è arrabbiato. Dove si trova? Che cosa sta facendo? Che cosa vede? Come è vestito? Che cosa prova esattamente? Come cambia il suo corpo? Che cosa notiamo se lo osserviamo da una finestra? Che cosa nota lui (o lei)?
All’inizio descriviamolo e basta. Senza giudicare, senza cercare di fermare il protagonista, senza cercare di aiutarlo. Solo osservandolo e facendo appello ai nostri ricordi. Si può approfondire anche il modo in cui cambia, se cambia, la rabbia del protagonista quando è rivolta contro le donne, e in particolare contro le ragazze che mettono fine a una relazione. Cambiano i gesti che compie? I suoi pensieri? L’intensità delle emozioni? Se l’età si presta, possiamo chiedere che raccontino un episodio in cui il protagonista telefona e non trova la sua ex, come nella canzone di Emis Killa, 3 messaggi in segreteria. E analizzare come cambia il racconto se a scriverlo è un ragazzo o una ragazza.
In un secondo momento potremo fare anche il passo successivo e chiederci su quali di quei cambiamenti abbiamo il potere di intervenire. Forse non abbiamo il controllo della rabbia, ma abbiamo il controllo sulle nostre mani, per esempio, e possiamo provare ad allentarle, a rilassarle. A gestire la rabbia a partire dal corpo.
Ascoltare la rabbia
La rabbia non è solo negativa. Anche questo dobbiamo dire ai ragazzi. La rabbia è il nostro modo di proteggerci, di difendere i nostri limiti, di prenderci cura del nostro lato più vulnerabile. La rabbia inoltre ci fa sentire più forti, ha un effetto energizzante che ci fa stare meglio, che ci restituisce il potere che sentiamo (o crediamo) di avere perduto. Raccontare la rabbia serve a fermarsi, a riconoscerla, a ritrovare quel potere. A volte pensiamo che sfogare la rabbia sia necessario, se non il modo migliore per superarla, ma non è così, la rabbia si autoalimenta. Se possiamo raccontare la rabbia, possiamo gestirla. Ed evitare che sia lei a gestire noi.
Raccontare le emozioni
Per chi fosse interessato all’argomento e volesse conoscere altri esercizi, sta per iniziare un ciclo di incontri online per lavorare insieme sulle emozioni e sulla scrittura autobiografica.
LA TRISTEZZA 15 e 22 febbraio 10.00-12.30
LA PAURA 22 e 29 marzo 10.00-12.30
LA RABBIA 26 aprile e 3 maggio 10.00-12.30
Si può partecipare a due laboratori soltanto o a tutti e sei, come si preferisce.
Gli incontri sono rivolti a chi vuole scrivere la propria storia, ma anche a chi vuole conoscere meglio le emozioni, agli insegnanti che cercano esercizi pratici da svolgere in classe, a chiunque senta il bisogno di dialogare con le proprie emozioni o di aiutare qualcun altro a farlo.
Per informazioni potete scrivermi qui o a rosapercaso@gmail.com.